Questo tema si lega in parte con il precedente, ma non è totalmente sovrapponibile.
Perché abbiamo così tanti problemi nel promuoverci, nel parlare di noi e dei nostri successi, nel “venderci”?
- Ci spaventa la poca chiarezza e l’imbroglio che potrebbe esserci dietro una vendita, utilizzando così uno dei bias cognitivi più diffusi e conosciuti, ossia quello della generalizzazione: non è che se siamo venuti in contatto con un venditore truffatore o poco onesto, tutta l’attività di vendita e promozione lo sarà.
- Parlare di noi stessi non ci piace, spesso si associa questa attività ad un narcisismo che di certo non si addice ad uno psicologo professionista: sono gli altri che dovrebbero capire il mio valore anche se io non ne parlo.
Siamo sicuri che questo non sia un po’ troppo pensiero magico?
Come fanno le persone a conoscere chi siamo, cosa facciamo e cosa possiamo fare per loro, se noi non ne parliamo?
Ci nascondiamo dietro la deontologia professionale e il codice deontologico dicendo che è sbagliato farlo, che i pazienti dovrebbero essere liberi di scegliere e che la nostra comunicazione potrebbe influenzarli troppo o, peggio, recargli danno, ledendo la loro privacy (nel caso di pazienti già in cura).
Ma ci siamo mai chiesti come fanno i nostri pazienti a sceglierci?
Ci siamo mai chiesti se è giusto lasciare scegliere al caso, alla vicinanza o al portafoglio e basta, rischiando così di non riuscire ad aiutare veramente le persone (perché non ne siamo in grado o perché semplicemente non ne abbiamo gli strumenti, mentre un altro collega potrebbe averli, o potrebbe essere semplicemente più adatto), quando invece potremmo aiutare le persone a scegliere in modo più consapevole e utile per loro?
Se impariamo a raccontare chi siamo e cosa possiamo fare per le persone che possiamo e vogliamo aiutare, in modo onesto ed autentico, la promozione e la vendita saranno una diretta conseguenza di questo.
Senza trucchi o inganni.
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